INDIESTREAM
- Martina Barazzutti
- May 24, 2018
- 5 min read
Ci sono canzoni per ogni mood, per i giorni di sole, di pioggia, per quelli in cui non hai voglia di fare un cazzo ma devi. E allora la musica, fortuna c’è lei ad allietarti. Se poi a farlo è la musica indie è tutta un’altra storia. Sto parlando di quella indipendente che ha da un pò iniziato ad attirare l’attenzione e a tirare in generale, passando dalla nicchia d’élite (spesso) cultrice dell’internet e di YouTube al mondo del mainstream.

Da quando la scoperta dei talenti non è più cosa strettamente riservata a una componente elitaria e settoriale, la musica è cambiata.
E se il grande pubblico, questo sconosciuto, è stato per molto tempo un privilegio riservato a quegli artisti venuti fuori da talent musicali e pompati dalle radio commerciali, con il web e l’attenzione a quello che conteneva c’è stata una rivoluzione che ha dato spazio a tutti quelli che hanno passato la vita a far musica senza che la musica diventasse la loro vita. La rassegna di nomi sarebbe infinita, c’è chi sta sbocciando adesso, chi è in pista già da molto e sta raccogliendo i primi veri frutti del successo e chi ormai col mainstream ci ha preso gusto.

Lo Stato Sociale, ad esempio, rappresenta molto bene la categoria. Nel 2010 esordivano con l’EP autoprodotto “Welfare Pop” e dopo otto anni, sono finalmente riusciti ad arrivarci al grande pubblico. Il gruppo indie che ha conquistato il panorama del mainstream guadagnandosi l’approvazione e il cuore di tutta Italia, svecchiando e non di poco il classico Sanremo, merita sicuramente una medaglietta color arcobaleno. Ci hanno messo parecchio: gavetta, fatica, incomprensione. E poi eccola lì, la chiave: “Una vita in vacanza”, canzone con cui si sono presentati al 68° Festival di Sanremo estrapolata dall’album “Primati”, che ci ha catapultati al mare già da gennaio. Anche se poi al mare non ci siamo andati e anche se a metà marzo nevicava. Avrebbero dovuto intitolarla “Una vita in keway” per quanto ha fatto schifo il tempo nell’ultimo periodo.
Altro gruppo indie per eccellenza sono i TheGiornalisti, “venuti fuori dal niente”, ho sentito dire. In realtà fanno musica da un pò. Erano già geniali quando sceglievano di chiamare uno dei loro primi album “Vecchio”. E insomma quando se ne sono venuti fuori dal niente hanno fatto Completamente il botto. L’11 maggio dell’anno scorso hanno riempito il Forum di Assago, quasi 13 mila posti. Mica male per degli sconosciuti.

E poi all’improvviso ne parlavano tutti. Su tutti i giornali. Ma tutti tutti. E io che per lavoro i giornali li sfoglio spesso, mi sono ritrovata quel bel faccino di Tommi (Tommaso Paradiso, front man della band, ndr) ovunque. Bello Tommi, che dopo averci fatto vivere tutte le sfumature dei suoi sbalzi emotivi amorosi (tragici) e averci fatto tremendamente immedesimare nell’intensità delle sue parole così intelligentemente pensate, alla fine sbam: si è innamorato. E mi sono chiesta – e forse se lo chiede anche qualche d’un altro – se ora che la felicità regna sovrana dentro di lui (donando speranza ad ogni personcina rassegnata e cinica) le sue canzoni sarebbero cambiate.
D'altronde, i testi prendono vita dalla linfa di uno stato d’animo e da quello dipende l’intensità che avrà la canzone: tristezza e sofferenza sono diverse da gioia e amore. Le prime due loro le trasmettono meravigliosamente. Poi a marzo è arrivata la primavera (si fa per dire) e con lei “Questa nostra stupida canzone d’amore” che è stata la prova del nove: la profondità non è mancata, e con la nazionale del 2006 ci hanno un po’ fatti innamorare tutti. Già con “Riccione” che intasava le radio la scorsa estate, era chiaro che la band d’indole indipendente avesse svoltato arrivando a coinvolgere un ampissimo pubblico.
Il loro quinto album è atteso ad ottobre, ma niente esclude che concedano in anteprima estiva qualche perla sull’onda di “una partita di carte giocata sotto l’ombrellone d’estate”. Di indie in loro oggi resta solo il ricordo, ma quel tocco naïf che arriva dritto allo stomaco è sempre li, tra le righe…che parlino del Natale, l’ospedale o l’ascensore.
E alla voce naïf del musicario contemporaneo si trova per forza Edoardo (D’Erme), in arte Calcutta, che da geniale paraculo (quale è) intitolava l’album che l’ha reso famoso “Mainstream”. Dissacrante e sperimentale, “Oroscopo” a parte che a un mese dall’uscita raggiungeva il milione di visualizzazioni su Youtube, le sue canzoni restano di nicchia anche se il suo nome e la sua intensità rimbombano ovunque. Sente il cuore a mille, nella sua nuova “Paracetamolo” singolo estratto dall’attesissimo album “Evergreen” in uscita il 25 maggio. A romanticismo e malinconia non lo batte nessuno e anche da questo ultimo testo emerge tutto il pienone di emozioni che ha dentro e che descrive parlandoci del Mar Mediterraneo e del prendersi per mano.

Altra rivelazione mainstream sono i Canova, band pop milanese che scrive della semplicità delle cose e vive di chitarre, tastiere, canzoni e sigarette. Nel 2016 hanno esordito con “Avete ragione tutti” che li ha catapultati in un tour di oltre 100 date e che ha avuto talmente tanto successo da trasformarsi in un’edizione vinile deluxe. Sorprende e stupisce che una canzone come “Santamaria” che recita “io non voglio che ti fumi l’erba perché l’erba ti fa ridere e non c’è niente da ridere” abbia conquistato non solo il pubblico tra i 20 e i 30 anni, ma anche quello più maturo. Ho assistito alla scena della madre di una mia cara amica, assolutamente borghese e dalle rigide vedute, che si è messa a cantarla a squarciagola quando è partita in macchina una mattina su Radio Deejay.

Non ho di certo dimenticato Silvano Albanese, aka Coez, per gli amici il ritornellaro. Con svariate collaborazioni alle spalle, il suo ultimo album “Faccio un casino” un casino l’ha fatto sul serio. Un caloroso mash-up di come dovrebbe essere semplice l’amore e quanto possa essere invece maledettamente incomprensibile. Su di lui mi dilungherò presto, non vedo l’ora.

Se fin qui abbiamo citato chi il salto l’ha già fatto, ora tocca alle new entry del mondo indie che senza dubbio lo faranno a breve. Partiamo da Roma con Carl Brave, appena uscito con “Notti brave” questa volta senza il suo partner in crime Franco 126, che lo accompagna comunque in una delle tracce. Hitte dell’album dico assolutamente “Chapeau”, che non a caso su Spotify dopo una settimana di vita stava già in Virale 50 globale. E non a caso è featuring by Frah Quintale che è un altro fuori dal comune. Hai visto mai che diventa la canzone dell’estate? Ci spostiamo a Brescia: il suo successo, Francesco Servidei, se l’è disegnato passo dopo passo, già quando dominava la scena musicale underground insieme a Merio nel gruppo rap Fratelli Quintale. Di “Regardez Moi”, suo ultimo album, abbiamo già parlato e voglio soltanto aggiungere la ciliegina sulla torta che è la versione di “Accattone” remixata da Maiole, musicista napoletano alquanto atipico e follemente innamorato di Lucio Battisti (a buon intenditore poche parole) che ha di recente dichiarato che l’elettronica, di cui ha fatto il suo pane quotidiano, salverà l’Europa. Ha anche detto che la musica dovrebbe unire e non dividere (teniamolo a mente).
E sono d’accordo. La cosa strepitosa di questo cambiamento general-geniale nella musica è che continua a cambiare. Si rinnova, si migliora, sorprende. E piace. Generi musicali si fondono insieme creandone altri che non hanno ancora un nome. La parola chiave è versatilità. E aggiungo anche intelligenza. Si, perché tutti loro funzionano e hanno fatto un passo ulteriore capendo di poter creare insieme, mischiando l’uno lo stile degli altri. E emozionare musicalmente e vocalmente con melodie, testi e suoni che si incastrano così bene da fartici perdere dentro certi ritmi.
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